Sanremo 2022, storie di calendari e nostalgia canaglia

Qualche giorno fa la dottoressa del reparto erboristeria della farmacia Mazzini di Roma mi ha regalato un calendario.

Un calendario, sì, uno di quelli da appendere come si faceva nelle cucine delle case degli adulti, coi piani in granito e i mestoli in acciaio che ad immaginarli adesso a contatto con una pentola Lagostina partirebbe una coronaria anche a chi le forchette le usa per pettinarsi i capelli.

L’ho trovato un gesto molto carino, comunque, quello di regalare un calendario. È un gesto d’amore e di condivisione, così raro di questi tempi che mi ci sono attaccata con tutte le mie forze.

Quando l’ho appeso all’anta laterale del frigorifero, decretando, di fatto, la separazione definitiva da mio marito per aver distrutto a colpi di chiodi e martello un rarissimo pezzo di design svedese firmato Ikea, in un attimo sono tornata nel salone di Viale Giostra 40, la casa in cui non molti anni fa – ci tengo a sottolinearlo – siamo nate io e le mie passioni.

La casa che, e lo dico con un‘umiltà che farebbe rabbrividire anche il monaco buddista più famoso del nostro tempo, sono certa abbia dato i natali ai gruppi d’ascolto di tutto il mondo…o almeno del mio mondo.

Se quelle mura potessero parlare racconterebbero di donne dai capelli cotonati e le spalline pronunciate, uomini con maglioni improbabili e baffi alla Bernie Lomax di “weekend col morto” e bambini che scorrazzano nel corridoio dalle mille porte, canticchiando quella che, per tutti, sarebbe diventata di lì a poco la sigla della felicità.

PARAPPAPPAPPARÀ e tutto si colora di fiori e mare, di Papa neri e corse sulle scale insieme ai walkman, che pompano nelle cuffie la storia del barbaro invasore di Mietta, un po’ dannato un po’ trottolino amoroso, e fiumi di parole sull’idolatria dell’amore secondo Giorgia. 

PARAPPAPPAPPARÀ, il segnale orario, la musichetta dell’eurovisione e milioni di italiani, da tutto il mondo, a fare quello che sanno fare meglio: condividere l’attesa per un momento di gioia e leggerezza.

PARAPPAPPAPPARÀ e Pippo Baudo su una balaustra, Mike Bongiorno ad invitare all’allegria e Raffaella Carrà a ridere di gusto.

Sanremo, per me, è questo e tanto altro ancora. È nostalgia e sorrisi, è controsenso e scandalo, è rigore e attesa, è tradizione e condivisione. Sanremo è i “non ci posso credere” e i “dirige l’orchestra il maestro…”, è i “questo vince il premio della critica, sicuro” e i “ma la sarta di questa ancora non l’hanno denunciata?”, è ironia e sarcasmo, è un tempo infinito che non smette di scorrere veloce.

Come quel calendario 20×40 appeso in cucina, un po’ sbiadito,  a volte incomprensibile ma pieno di date da ricordare.

Su il sipario, silenzio in sala e benvenuti alla 72a edizione del Festival della Canzone Italiana. 

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